Una chiamata inattesa – Responsabilità condominiali
Un pomeriggio di fine autunno, quando il sole declina e le ombre si allungano sui palazzi come memorie di questioni irrisolte, il mio telefono vibra. Un suono asciutto, che spezza la quiete della mia scrivania.
Dall’altro capo, una voce incerta. Le parole arrivano lente, calibrate con la precisione di chi misura il rischio di ogni sillaba. “Sono un amico del signor Mario Rossi,” dice, e poi si ferma. Il silenzio che segue è più eloquente del discorso.
Un lieve colpo di tosse – forse un riflesso nervoso, forse il preludio a qualcosa che pesa. Poi arriva la frase, netta, pesante come un fascicolo dimenticato per troppo tempo: “L’amministratrice non presenta i rendiconti da cinque anni.”
Cinque anni. Non c’è bisogno di aggiungere altro. Il tempo, quando si sedimenta così, trasforma una questione amministrativa in un simbolo di incuria. Quelle poche parole, però, sono già sufficienti a disegnare la scena: uno stabile in stallo, una comunità di condòmini smarriti e un’amministrazione che si è lasciata fagocitare dalla negligenza.
Eppure, più della cifra temporale, ciò che rimane è il tono della voce: il timbro di chi conosce già la risposta, ma ha bisogno di sentirsela dire, nero su bianco. Come se cercasse una conferma, o forse una mano capace di rimettere ordine nel caos.
Il condominio come sistema complesso
Un condominio non è mai solo un insieme di appartamenti. È un sistema interconnesso, fatto di relazioni umane, obblighi condivisi e responsabilità collettive. Ogni edificio porta con sé dinamiche complesse, dove i problemi non si limitano mai alla gestione pratica, ma riflettono spesso incomprensioni, diffidenze e mancanza di comunicazione tra i condòmini.
Con l’esperienza maturata negli anni, comincio a delineare la situazione in modo chiaro e pragmatico. Spiego le opzioni disponibili: convocare un’assemblea straordinaria, verificare le maggioranze necessarie per procedere, avviare eventuali azioni legali. Mi sforzo di essere concreto, sintetico, offrendo strumenti per risolvere il problema senza lasciarmi trascinare dall’emotività del momento.
Dall’altro lato, percepisco esitazione. Un silenzio lungo, seguito da un respiro profondo, segnale inequivocabile della difficoltà di prendere in mano una questione che si è lasciata sfuggire di mano per troppo tempo. È chiaro che il problema non è solo procedurale: è la volontà di intervenire, di superare quella resistenza che spesso blocca le decisioni collettive.
In queste situazioni, il mio ruolo non si limita a fornire soluzioni tecniche. Si tratta di costruire un dialogo, di creare le condizioni per far emergere quella consapevolezza necessaria a trasformare un ostacolo in un passo avanti.
L’assemblea e la commedia del condominio
L’assemblea viene finalmente convocata dall’amministratrice in carica, ma non senza trascinare dietro di sé il consueto strascico di attese e malumori che si amplifica nei corridoi. Naturalmente, la data viene posticipata, e poi ancora. Un rimando dopo l’altro, così prevedibile che quasi mi sorprendo di quanto sembri voler sfidare le leggi della probabilità. È uno spettacolo già visto: il copione mal recitato di chi spera che il problema si dissolva da solo.
Ma questa volta qualcosa cambia. Il mio assistito, quello che mi aveva cercato con voce esitante, mostra una nuova determinazione. Mi chiede strategie, ipotizza vie d’uscita, e io suggerisco quella che per molti è un gesto quasi rivoluzionario: l’autoconvocazione. Non tanto una soluzione tecnica quanto un’affermazione di presenza. È il modo più semplice per dire: Esistiamo, e abbiamo voce in capitolo.
Finalmente arriva il giorno dell’assemblea. Ed è qui che la scena si trasforma, con l’ingresso di un personaggio degno di una pièce teatrale: l’amministratore improvvisato. A detta del mio assistito, quest’uomo è apparso dal nulla, come una di quelle figure che spuntano quando si avverte l’odore di un vuoto di potere. Si presenta con un sorriso tanto largo quanto ambiguo, di quelli che sembrano voler dire: Non preoccupatevi, ci penso io.
In mano, come trofeo, stringe una delega firmata da una condomina assente. Già questo dettaglio racconta tutto: il bisogno di legittimarsi attraverso mezzi discutibili. Si muove con una sicurezza che rasenta l’arroganza, l’aria di chi considera le normative un fastidioso suggerimento più che un vincolo. È quel tipo di amministratore che crede che il carisma personale basti a riempire le lacune professionali.
Ma il mio assistito, con una calma che sfiora la teatralità, lo riporta alla realtà. Con il tono fermo di chi ha imparato le regole, ricorda a tutti che senza la doppia maggioranza non si può procedere a nessuna nomina. Fine della partita.
L’improvvisato incassa il colpo, ma non senza una smorfia che tradisce l’irritazione di chi ha perso il controllo della scena. La condomina che lo sostiene, visibilmente contrariata, si irrigidisce sulla sedia, come se quella sconfitta fosse un attacco personale. Perché, si sa, in un condominio ogni disfatta è più di una questione procedurale: è una ferita all’orgoglio, un micro-dramma che si gioca tra mura condivise.
Mentre mi racconta questa piccola farsa burocratica al telefono, rifletto su un dettaglio che non riesco a ignorare: questo amministratore improvvisato, ha trovato il tempo – e l’audacia – per partecipare a un’assemblea condominiale che non gli competeva affatto. In fondo, c’è qualcosa di quasi ammirevole in questa dedizione mal riposta: organizzarsi per presentarsi, esibire sorrisi strategici, portare una delega improbabile. Se solo avesse messo la stessa energia nell’essere realmente competente, forse non saremmo qui a parlarne. Ma, come spesso accade, è più facile improvvisare che prepararsi. Peccato che, in un condominio, i tempi morti e le scorciatoie non durino mai quanto si spera: prima o poi, arriva sempre qualcuno che riporta tutti alla realtà.
Il pantano dell’immobilismo
L’assemblea si chiude senza alcun progresso. La vecchia amministratrice, nonostante la revoca, rimane in una condizione di prorogatio imperii che non è soltanto un termine giuridico, ma una fotografia perfetta dello stallo che paralizza il condominio. I condòmini, divisi tra la volontà di cambiamento e il timore delle sue conseguenze, finiscono per scegliere – come spesso accade – di non scegliere.
Le infiltrazioni nei garage, inizialmente bollate come semplici guasti tecnici, rivelano un panorama più complesso: bilanci poco chiari, omissioni intenzionali, e un clima di sospetto che cresce piano, insinuandosi tra i piani e le scale come umidità nelle fondamenta. Nel frattempo, la gestione quotidiana del condominio prosegue in una routine stanca: luci nei corridoi che tremolano, ditte creditrici pronte a procedere con ingiunzioni, e persino chi si avventura a bussare porta a porta per recuperare crediti dimenticati o ignorati.
Così, tutti aspettano. La prossima assemblea, forse quella decisiva. O forse no.
Il vero ostacolo
Alla fine, il condòmino che mi aveva contattato torna da me. La sua voce, ormai priva di illusioni, ha perso quella nota di esitazione iniziale. “Quali sono le opzioni?” mi chiede, ed è una domanda che conosco bene. Gliele illustro con la chiarezza che solo l’esperienza e una lunga frequentazione del fallimento possono dare: accettare l’amministratore improvvisato come il male minore, oppure avviare una procedura legale per nominare un amministratore giudiziario. Nessuna delle due scelte è semplice, né indolore. Entrambe comportano costi, economici e personali.
Mentre parliamo, però, so già che ha preso la sua decisione. Forse l’aveva presa ancora prima di cercarmi. Perché in fondo, un condominio non è solo una struttura di appartamenti: è un riflesso delle persone che lo abitano, dei compromessi che accettano ogni giorno, delle paure che li tengono fermi in un immobilismo protetto dall’abitudine.
Cambiare amministratore non è mai solo una questione burocratica. È un atto di volontà, quasi un gesto politico. Ma prima di tutto, è una sfida personale: guardarsi negli occhi e ammettere che il vero ostacolo al cambiamento non è l’amministratrice inefficiente, né l’amministratore improvvisato, né i regolamenti complessi. Sono loro stessi.
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